Il 20 novembre 1994 Papa Giovanni Paolo II proclamava "Beato" fra' Claudio
Riccardo Granzotto. Nato a S. Lucia di Piave (TV), diocesi di Vittorio
Veneto, il 23 agosto 1900, dieci giorni dopo fu battezzato con il nome
di Riccardo. Sarà questa la data scelta per la festa
liturgica del Beato. Dopo una serena e laboriosa giovinezza, dal 1929
al 1933 esercita la sua professione di scultore, dopo aver conseguito
il diploma all'accademia di Belle Arti a Venezia (29 settembre 1928).
Nell'agosto 1933 a Vittorio Veneto, chiede di entrare tra i Frati
Minori e in settembre approda a S. Francesco del Deserto (VE), ove
farà ritorno il 7 dicembre per vestire il saio dell'ordine.
In questo periodo la sua occupazione maggiore fu la costruzione della
Grotta di Lourdes a Chiampo (VI). Nel 1935 entra in noviziato a S.
Francesco del Deserto prendendo il nome di fra' Claudio. Dopo la
professione temporanea dei voti verrà inviato dai superiori
nel convento di Vittorio Veneto ove emetterà la professione
solenne nel 1941.
Testo della professione solenne con la firma di Fra' Claudio,
Nel 1947, ricoverato e operato nella clinica neurologica di Padova per
un tumore cerebrale, muore il 15 agosto, solennità
dell'Assunzione della Beata Vergine Maria, come aveva predetto.conservato nell'archivio del convento Profilo Biografico a cura di P. Fabio Longo ofm
Fra’ Claudio sempre presente*Al convento di Vittorio Veneto ci sono tornato lo scorso autunno. Dopo lunghi anni. E vi tornavo con una certa curiosità affettuosa: vediamo se il convento è sempre quello dei tempi quando vi studiavo teologia, quando tra di noi c’era la figura ascetica di Fra Claudio; se è ancora il convento della mia nascita al Sacerdozio, poichè appunto in quel convento salii emozionatissimo le prime volte il santo altare. Quando si torna a visitare la casa di papà e mamma, troviamo (almeno noi Frati) che un carisma particolare le permette di conservarsi sempre giovane; anzi, quel carisma misterioso fa ringiovanire anche noi fino al punto di rivederci bambini e di rivivere, per un po’ di tempo, in quell’alone di felicità semplice e lontana. Qualcosa di tutto questo mi capitò anche visitando il convento della mia nascita alla vita sacerdotale. Appena messi i piedi sulla piazzetta antistante la chiesa, fu come aver ripreso contatto con certe emozioni di dieci anni prima quando vi ritornavo dalla Cattedrale, Sacerdote novello: quant’era bella, pura e affascinante la vita! E il convento una rocca vigile, alta sul mondo. Ma lo scorso autunno, aggirandomi per il minuscolo chiostro e salendo ai piani superiori, ebbi l’impressione che il convento stesse meditando, in profondo silenzio, sulla sua vita centenaria e che si fosse accorto d’essere invecchiato. Mi parve che non fosse più lo stesso di quando accoglieva noi studenti e mi trovai quasi a disagio. Cercai allora di rintracciare i ricordi di Fra Claudio; in realtà vi ero capitato quasi esclusivamente per questo. E fu allora che il « vecchio centenario » spianò le rughe della fronte con l’orgoglio di chi sa d’averci uno spirito sempre giovane. Non posso dire che i luoghi particolarmente santificati dalla sua diuturna presenza possano interessare l’Avvocato del diavolo in un eventuale processo di beatificazione, poichè non vi si trova la minima traccia di prematura venerazione. Vi si trova soltanto lo spirito di Fra Claudio, conservato nel reliquiario della più rigorosa umiltà. La cella di Fra Claudio, nel corridoio a tramontana, chiamato da noi studenti « la Siberia». Non ha neppur l’onore d’un cartellino sulla porta che dica, magari soltanto con un nome, chi vi abitò per parecchi anni. E tutto considerato sta proprio bene così: fu ed è bene che rimanga la cella del nascondimento e dell’umiltà. Fra Claudio vi passò le notti, più nella preghiera che nel sonno; tuttavia pochi se n’accorsero. Raramente vi ritornava, dalla chiesa, prima delle dieci e mezzo della sera. E non si coricava subito, ma riprendeva la preghiera e spesso infliggeva al suo corpo dure penitenze con ardore di asceta medioevale. Più volte s’alzava alla mezzanotte per un’ora di veglia. Nello squallore e nella povertà di quella stanza, priva di ogni umano conforto, si dava convegno tutta l’umanità diseredata e peccatrice per essere presentata a Dio dalle mani supplichevoli d’un Frate austero come un anacoreta e mite come un bambino. Stetti immobile al centro della piccola stanza e mi parve che un flusso soave e forte nello stesso tempo, m’investisse l’anima: Fra Claudio era presente! Il laboratorio Non vi entrai perchè perfettamente inutile e un pochino anche impossibile, ingombro com’era di tante cianfrusaglie sempre utili alla povertà francescana. Però mi si strinse il cuore: avrei voluto rivedervi l’ordine e la pulizia di Fra Claudio, qualcuno dei suoi gessi o almeno quell’umilissima stufetta che egli, durante l’inverno, faceva andare a carta e paglia… per poter dare la legna ai poveri! Spiai dall’unica grande finestra come quando vi andavo per sorprenderlo in preghiera tra le sue statue: scomparse loro e lui! Eppure lì dentro, mentre lavorava il marmo. Fra Claudio imparò a scolpire la sua anima guardando molto spesso al Modello, un Crocifisso appeso alla parete. Imparò a provare egual piacere a scolpire il Cristo morto e a correre in cucina per fare lo sguattero; imparò che l’obbedienza ai Superiori è «assai più preziosa di cento statue» e quindi in ossequio all’obbedienza lasciava prontamente lo scalpello per mettersi a tracolla la bisaccia del Frate cercatore. Volli almeno entrare sulla porta di quello che fu il suo laboratorio: tutto scomparso di lui? La sua anima, lavorata con tanta cura e tenacia, con ardore serafico e con intelligenza di santo, il suo capolavoro era tutt’altro che scomparso: Fra Claudio era presente! Ma il suo spirito lo sentii aleggiare, quasi angelo custode nella chiesa del Convento. Non me lo evocarono principalmente le sue pregevoli statue del Cristo morto e di S. Antonio ma il ricordo d’averlo visto infinite volte pregare assorto come un serafino, come non pregano le anime comuni anche quando si sforzano di non apparir tali. L’anima di Fra Claudio era qui davanti al Tabernacolo anche quando il corpo si trovava altrove: vivere con Cristo e di Lui fu la sua vita! E questo non è un panegirico, ma soltanto una realtà vissuta. Attraversando il coro dei Frati, dietro l’altar maggiore in corrispondenza del Tabernacolo, ebbi un attimo di esitazione come per evitare un ostacolo. Fu proprio lì che una notte, erano già suonate le undici, inciampai in Fra Claudio. Avevo sentito che s’intratteneva a pregare fino ad ora tarda ed ero disceso per verificare! Nell’oscurità egli non s’accorse di me, ma io m’accorsi che egli stava pregando con la fronte curva fino sul pavimento... Non credo che le anime sante cambino i loro santi gusti e perciò io penso Fra Claudio sempre presente in quello stesso luogo e pregare per quel suo convento e per la sua Vittorio Veneto che amava in modo particolare nei suoi poveri e nelle anime bisognose di Dio. Ritornai sulla piazzetta antistante la chiesa, rientrai a camminare sotto il minuscolo chiostro e guardai ancora una volta il convento: no, non mi sembrava più invecchiato! Non può invecchiare un convento che racchiude un’anima così grande, come non può invecchiare la casa che racchiude l’anima di papà e mamma!
P. Epifanio Urbani, o.f.m.
*(tratto da: "Nel Centenario del Ritorno dei Frati Minori a Vittorio
Veneto", Scuola tipografica Istituto San Gaetano Vicenza, Vittorio
Veneto, 5 febbraio 1956, pag. 81) |
Fra Claudio Granzotto
Particolare del coro dei Frati dietro l'altare maggiore |
Domenica
20 novembre 1994 Solennità di Cristo Re Omelia di Giovanni Paolo II durante la solenne celebrazione
eucaristica per le beatificazioni Cristo
è il futuro del mondo “Sei veramente re? (cfr Gv
18,37) – chiede Pilato. Analoga domanda pongono i vari “Pilato” dei nostri
giorni. Quanti sono, quanti anche nel nostro XX secolo, coloro che hanno
preteso di giudicare e di condannare a morte Cristo? Il Signore, oggi come
allora, risponde, indicando quanti ascoltano la sua voce – quanti “sono nella
verità”. Indica anche i nostri beati odierni. In essi, infatti, si è realizzato
e manifestato il suo Regno”. Autentico figlio del Poverello di Assisi, seppe esprimere la contemplazione dell’infinita bellezza divina nell’arte della scultura, di cui era maestro, rendendola strumento privilegiato di apostolato e di evangelizzazione. La sua santità rifulse soprattutto nell’accettazione della sofferenza e della morte in unione alla croce di Cristo. E’ diventato così modello per i Religiosi nella totale consacrazione di sé all’amore del Signore, per gli artisti nella ricerca della Bellezza di Dio, per gli ammalati nell’amorevole adesione al Crocifisso. |