Uno
sguardo al passato*
La commemorazione centenaria del Convento Francescano di Vittorio Veneto induce a rievocare avvenimenti e persone della sua storia plurisecolare entro il respiro delle cose di famiglia. Il desiderio di un Convento di Frati Minori in Città fiorì dal cuore degli ottimi Cenedesi del secolo XVI. Infatti il 19 marzo 1598 il Consiglio Municipale deliberava di cedere ai Padri Riformati Veneti la Chiesa di S. Maria del Meschio, consenziente la Confraternita della Scuola che la reggeva e quello stesso anno la cittadinanza, per mezzo dell’autorità ecclesiastica, chiedeva alla S. Sede di poter erigere una casa religiosa per l’Ordine Francescano e di affidare ai membri di essa la Chiesa di S. Maria. Il Pontefice Clemente VIII da Ferrara, in data 3 luglio 1598, con bolla, di cui si conserva l’originale nell’archivio del Convento, benignamente accondiscendeva ai desideri dei Cenedesi. Dovettero però sopraggiungere serie difficoltà se, dopo tanto consenso di popolo e suppliche alla S. Sede, si ritardò di qualche anno l’inizio dei lavori, cambiando parere sulla zona dell’erigendo Convento. Finalmente, come risulta da un atto notarile del 12 gennaio 1601, conservato pure nell’archivio conventuale, da vari proprietari fu venduto un appezzamento di terreno, situato accanto alla chiesuola di S. Vito, allo scopo di fabbricarvi una chiesa e un monastero ad onore di S. Francesco d’Assisi. Facciata della Chiesa di S.Francesco con il Convento annesso prima del 1967
e alla sinistra l'antica Chiesa di S. Vito
In un breve tempo si edificarono Convento e Chiesa. Quest’ultima venne consacrata il 18 novembre 1607 e dedicata a S. Francesco. Insegnarono teologia nelle cattedrali di Ceneda e di Treviso; cooperarono alla conversione degli ebrei, “per la quale nel 1608 i Cenedesi fecero funzioni e feste solennissime”. La predicazione popolare di S.Leonardo da Porto Maurizio, la quale abitualmente si chiudeva con l’erezione della “Via Crucis”, influì pure sulla città di Ceneda. Il 1732 il Superiore del Convento, P. Mario Bellavite da Verona, erigeva la “Via Crucis” del Monte S. Paolo. L’attività silenziosa e molteplice continuò indisturbata fino al primo decennio del secolo scorso: sotto il ritmo dell’obbedienza i Religiosi si avvicendavano nel Convento, tenendo fede agli impegni assunti con la cittadinanza nel lontano 1601.
L’edificio con l’orto attiguo, passato al Demanio, venne acquistato dal dott. Marino Marini, ex commissario. La Chiesa restò aperta al culto, officiata da un sacerdote del clero secolare, per l’intervento sollecito di S. E. il Vescovo Mons. Giambenedetto Falier. L'orto e il convento prima del 1967 con un gruppo di frati sulla terrazza.
Uno dei più benemeriti della Rettoria durante la soppressione, Mons. Can. Giambattista Bortoluzzi, notificava il 13 ottobre 1851 al carissimo amico P. Bernardino da Portogruaro: essere ferma volontà del sig. Marino Marini che « il Convento ritorni ai Religiosi Riformati di S. Francesco ». Mons. Can. Bartolomeo Rossi affiancava generosamente l’opera di Mons. Bortoluzzi, tenendo informata la Curia Provincia1e, in particolare P. Bernardino, su ogni sviluppo della pratica per il ripristino del Convento. Insisteva, il simpatico Monsignore, presso un Padre Definitore: “…ci vorranno codesti veneratissimi Padri lasciar Ceneda, che altra volta trovarono riconoscente e devota?... Dopo Dio, noi mettiamo la nostra fiducia nei loro generosi caritatevoli cuori…”. Fattore di capitale importanza per lo sviluppo favorevole dell’annosa vicenda fu il testamento del sig. Marini: «Lascio in perpetuo all’Ill.mo e Rev.mo Vescovo pro-tempore di questta Città e Diocesi, unitamente al Rev.mo Capitolo dei Monsignori Canonici di questa Chiesa Cattedrale, lo stabile da me attualmente abitato detto il Convento dei Riformati col brollo annesso, e con ogni altra relativa adiacenza, escluso però quanto in esso si ritrova di mobile, a meno che non sia dalla Legge considerato per immobile; lascio pure agli stessi la mia Libreria; e ciò allo scopo che sia richiamata una famiglia di Religiosi Francescani Riformati, i quali come altra volta abbiano stanza in detto Convento, ed oltrechè provvedere alla quotidiana ufficiatura dell’annessa Chiesa di S. Francesco, si occupino: 1° nell’ascoltare le Confessioni Sacramentali in detta Chiesa, e nell’assistere spiritualmente gli infermi massime della contrada dei Frati; 2° nel catechizzare e predicare; 3° nella istituzione elementare, particolarmente dei fanciulli discoli e abbandonati ». Era il 15 ottobre 1851. P. Bernardino a Mons. Bortoluzzi, che gli aveva spedito una copia del testamento, e lo pregava di affrettare una domanda all’Imperatore Francesco Giuseppe, delicatamente indicava la via da seguire. Stando allo spirito e alla lettera, l’iniziativa per il ripristino del Convento doveva partire dalla Curia Vescovile e dal Rev.mo Capitolo. I suoi sapienti consigli vennero seguiti. Infatti la Curia Vescovile consegnava al Capitolo Municipale una nota con la proposta del ritorno dei Francescani in Città; proposta che, messa ai voti, fu approvata a larghissima maggioranza. Occorreva però la ratifica del Governo; e anch’essa fu concessa a condizione, tuttavia, che i Religiosi Francescani “non abbiano a pretendere alcun sussidio da qualsiasi fondo pubblico”. In tal modo il nuovo Vescovo Mons. Manfredo Bellati poteva annunciare al P. Provinciale: “Sono esultante nel partecipare alla Paternità Vostra la graziosissima sovrana risoluzione…, e a questa mia gioia partecipano il Rev.mo Capitolo, il clero e tutti i cittadini”.
Data indimenticabile Il Convento riapriva così le porte ai suoi Padri. Eseguiti alcuni lavori urgenti di restauro, facilitati dalla carità pubblica, non rimaneva che fissare la data per la sua riapertura canonica: 14 ottobre 1855. La presenza del Vescovo, del Capitolo, delle Autorità cittadine e di una folla entusiasta diede alla giornata memorabile un tono altissimo. Per ritrovare qualcosa di simile bisogna rifarsi molto indietro, al 1601, quando i Padri furono trionfalmente accolti, la prima volta, dai Cenedesi. Per la circostanza il M. Rev.mo Padre Bernardino da Portogruaro, eletto Provinciale da qualche mese all’età di 33 anni, improvvisò un incisivo, memorabile discorso. Rievocò l’importanza degli Ordini
Religiosi nella vita della Chiesa e i tentativi di volontà inique di
sopprimerli. Per questo, nel fausto evento, vissuto in tale ora storica, «noi
veggiamo non il trionfo nostro, ma il trionfo di un principio, d’una
istituzione cattolica, che avente la sua origine in Dio, il suo germe nel
cominciare dei tempi, la sua promulgazione per Cristo, la sua esteriore
luminosa manifestazione nel successivo volger dei secoli cristiani, non cesserà
qua in terra che col cessar della Chiesa alla fine del tempo, e si perennerà fatta
perfetta lungo l’eternità. Perocchè in noi, come in tutti gli Ordini Religiosi,
s’incarnano a così dire, i più grandi consigli Evangelici: ... contro ai quali
non potrà mai nulla nè umana nè infernale violenza. Potremo esser stritolati
noi: il principio evangelico, la Cattolica istituzione ch’è elemento della vita
di tutti gli Ordini Regolari, non mai. E’ per questo che innanzi a noi sparisce oggi l’intervallo 45 anni di sepolcro, e non troviamo difficile l’unire assieme il 12 maggio 1810 col 14 ottobre 1855. E’ per questo che noi, venuti ieri al mondo, discorriam tuttavia di cento, duecento anni addietro, e diciamo: noi ora abbiam fatto o facevamo così: nè c’inganniamo, perchè famiglia nostra già era, e più che tutto perchè l’elemento della nostra vita non è morto mai e mai non muore. E non solamente non muore; ma presto o tardi riscuote l’omaggio a cui ha diritto, infonde spirito vitale in nuove membra…». I Padri ripresero le loro attività apostoliche in città e dintorni con spontaneità, come se la loro assenza fosse stata di in solo giorno. Il primo decennio della ripresa corre fluido senza alcuna nota di speciale rilievo. Il cronista del Convento si sofferma soltanto ad elencare la serie dei Padri Superiori. Soppressione
italiana e riscatto definitivo Nel 1867, durante la guardiania di P. Giusto Fabris da Padova, il turbine della soppressione, decretata dal Governo massonico italiano, sconvolse per la seconda volta l’innocuo conventino di Ceneda. Espulsi i Religiosi, vi rimase, in qualità di custode della chiesa, P. Giusto insieme con un confratello aiutante. Si lasciarono ai Frati solo alcune stanze, mentre la maggior parte del convento e i beni mobili passarono al Demanio. I due poveri Religiosi furono allora sottoposti ad un acre stillicidio di persecuzioni subdole e vessatorie, tanto che in meno d’un mese e mezzo, come scriverà al P. Provinciale il P. Crescenzio Perancini da Vicenza, succeduto al P. Giusto, «sette volte è venuto qualcuno dal Municipio a rinnovarmi il tormento di dovermi aspettare giorni tribulati. Infatti in questo tempo si usò e si usa con artificio ora subdolo ora aperto la iniqua e arbitraria oppressione di toglierci anche il resto del Convento…». In seguito notificava al P. Provinciale: «…Nei giorni 2, 3 e 5 del mese corrente (settembre 1873) è stata fatta la pubblica asta dei beni mobili (del Convento). Era un vero avvilimento e moveva a sdegno veder moltissimi di Ceneda farsene acquirenti e portarseli via in trionfo, deridendosi della scomunica. Sembrava che li avessero in dono. Oh quanto è diverso, oh come si è mutato questo paese da quello che era pochi anni addietro!». Dei beni demaniati e messi all’asta dall’Intendenza di Finanza di Treviso, una parte fu acquistata dal Capitolo della Cattedrale e dalla Mensa Vescovile il 1884, il resto con l’orto attiguo fu comperato dal sig. cav. Pacifico Ceresa di Venezia l’anno successivo, che allo stesso prezzo lo cedeva ai Padri Francescani. Riuscito felicemente l’acquisto e compiuti alcuni restauri, il Convento veniva canonicamente riaperto il 1892. Così i Padri riprendevano le loro attività con quel tenace ricominciare che è a loro caratteristico. Sfogliando documenti e cronache, siamo andati alla ricerca del filone d’oro che amalgama avvenimenti e persone del nostro Convento. A volte sembra interrompersi, ma è sufficiente scendere più in giù per ritrovarlo, come una vena d’acqua ci si perde tra la sabbia e i sassi la osserviamo con gioia riapparire un po’ più in là. Però su questo filone l’invisibile mano della Provvidenza di Dio vi ha tracciato la sua firma. P. Contardo Grolla, o.f.m. *(tratto da: "Nel Centenario del Ritorno dei Frati Minori a Vittorio Veneto", Scuola tipografica Istituto San Gaetano Vicenza, Vittorio Veneto, 5 febbraio 1956, pag. 27)
|
|