La Chiesa, ad una sola navata, semplicissima nella forma,
con tre soli altari secondo l'usanza dell'antica Riforma,
fu dedicata a S. Francesco.
Il soffitto venne decorato nel restauro e nel rifacimento del 1903.
Lapide di dedicazione della Chiesa
in data 18 novembre 1607 |
Interno della Chiesa
Organo a canne
posto dietro l'altare maggiore
della ditta "Mascioni"
|
Statua in bronzo
di S. Francesco,
opera di
Riccardo Cenedese,
allievo del Beato (1989)
|
Statua in bronzo
del B.Claudio
opera di
Riccardo Cenedese,
allievo del Beato (1989)
|
Antico coro
|
Altare Maggiore fino al 1967
|
Altare Maggiore com'è attualmente
|
Altare laterale sinistro dopo il 1939
e sotto "S.Antonio morente" opera del Beato (1939)
|
Altare laterale sinistro con l'icona del Beato Claudio
opera del pittore iconografo Enzo Bozzer (1996)
|
Altare laterale destro della Madonna Addolorata fino al 1942 |
Tela di S. Mario martire
che ha sostituito la Madonna Addolorata,
opera di Bepi Modolo,
allievo e amico del Beato. |
"Cristo in attesa della Resurrezione",
opera del Beato.
Sostituisce l'antico altare
della Madonna Addolorata. |
Rosone sulla facciata della Chiesa |
Cappellina della Madonna
(chiesa di S.Vito) |
Sui campi dell’apostolato*
Cent’anni di storia, per qualsiasi convento francescano, sono
cent’anni di apostolato. Perchè il francescano è
nato sullo slancio apostolico di Francesco d’Assisi, e fin dal
suo nascere porta con sé vocazione e missione d’apostolo.
Il suo è un apostolato dalle mille forme e dalle sempre nuove
risorse: un apostolato che si evolve con i tempi, e si piega alle nuove
esigenze, che si moltiplica col moltiplicarsi dei bisogni,
coll’allargarsi dello spazio, coll’accentuarsi della
cultura.
Un piccolo convento avvolto in un manto di silenzio, circondato da
alte mura, vegliato da flessibili cipressi, custodito dalla rigida
clausura, è sempre un messaggio d’apostolato in una
Città distratta ed affannata da mille cose.
Con gli umili
Questo fu il compito assegnato al conventino di S. Francesco ed ai
suoi religiosi, quando un giorno fu voluto dalla municipalità di
Ceneda: essere rocca di spiritualità, capace di irradiare esempi
di spiritualità cristiana sull’esempio di S.
Francesco; un richiamo di bontà al passante che corre
veloce sulle grandi arterie che uniscono la vasta pianura alle montagne
altissime; accogliere alle sue porte ogni uomo affaticato e
stanco; sentire il suo gemito nascosto a tutti, ascoltare il muto
cadere delle sue lacrime: dirgli una parola fraterna e rimandarlo nel
mare della vita più coraggioso e più sereno...
Tutti, anche i profani, sanno che questa è la più bella
caratteristica dell’apostolato francescano. E’
un’attività umile, nascosta e, spesso, non compresa.
Eppure...
L’hanno capita gli umili delle campagne, delle colline, come
delle montagne di Ceneda, i quali sono accorsi « ai Frati »
pieni di speranza e di fiducia, si sono incontrati con un povero
religioso, spesso consumato dagli anni e dalla penitenza, gli hanno
aperto l’animo, e sono tornati al loro paese più
rinfrancati e fiduciosi.
Per cent’anni
L’apostolato francescano di questi cent’anni va di
pari passo con l’evolversi della storia cittadina.
Ceneda diverrà Vittorio Veneto, il complesso delle sue filande
le darà prestigio e nobiltà, l’invasione tedesca
del 1917 la renderà terra d’ogni italiano, la vittoria del
1918 la farà una bandiera di trionfo, le sue fabbriche la
renderanno uno dei principali centri industriali tessili della
provincia di Treviso, la seconda guerra mondiale le affiderà il
compito d’essere posto di collegamento tra il Sud ed il Nord.
L’opera dei poveri Figli di S. Francesco è continuata,
come prima nell’umile Ceneda, così poi nella gloriosa
Vittorio Veneto. Come tra i poveri contadini, così tra i bravi
operai d’ogni specialità; come tra gli affamati,
così tra i provati dalla guerra e gli angariati dalle
soldatesche scostumate; come tra i soldati fuggiaschi ed inseguiti,
così fra le truppe gloriose; come tra gli sbandati della
montagna, così tra gli sfollati e gli alluvionati.
Umili pagine, queste, che il riserbo non vuole svelate; ma pagine
egualmente belle, anzi forse, per la loro umiltà, più
belle.Lo sanno bene che cosa sia l’umile apostolato francescano
le folle che da cento anni gremiscono la chiesa di S. Francesco in
occasione delle principali feste dell’anno, quando, per
confessarsi, bisognerà attendere ore ed ore perché i
buoni religiosi sbrighino i primi arrivati.
Lo sanno bene gli ascritti al T.O.F., i numerosi Istituti Religiosi
femminili della Città, gli ammalati che non di rado chiedono
l’opera dei Frati, i giovani Seminaristi che dal Padre Confessore
hanno attinto coraggio e fermezza. Molti di costoro, oggi sacerdoti,
ricordano bene il P. Daniele Stona che con il suo bastoncino —
perché colpito da artrite deformante — due volte la
settimana si recava in Seminario a sostenere quei giovani
nell’impegno della conquista del loro grande ideale.
P. Daniele oggi giace, carico d’anni e di meriti, in
un’infermeria, ma a Vittorio Veneto la sua figura vive come
ricordo di santità e richiamo di virtù.
“Spargetevi,,
In nome di questo comando del loro Fondatore,
l’apostolato dei Padri Francescani di Vittorio Veneto si
allarga. I bravi Religiosi si spargono per tutti i paesi della plaga
vittoriese a portare l’esempio della loro vita e l’ardore
della loro parola.
Avvolti nella loro ampia tonaca, i piedi scalzi, la testa rasata,
passano frettolosi per ogni strada sotto il sole d’estate o fra
la neve ed il gelo d’inverno. Vanno in aiuto a povere
chiese, in umili paeselli, ove la gente, per la prossima festa,
sta aspettando il Padre della manica larga..., pur sapendo che la
manica larga del Padre ha un solo nome: Pazienza!
Tanta pazienza ci vuole per essere apostoli. Ed il figlio di Francesco,
in questi cent’anni, è passato un po’ dovunque a
predicare, a confessare, a sostituire sacerdoti impegnati,
ammalati o vecchi. Si può ben dire che, in piano o in
monte, non c’è chiesa che non abbia accolto la disadorna
tunica d’un fraticello, non c’è pulpito che non
abbia fatto sentire la sua voce, non c’è confessionale che
non sia stato testimone del suo apostolico ministero.
Talvolta il Religioso si è spinto oltre il confine della
diocesi. L’Alpago, il Cadore, l’Agordino, lo Zoldano,
il Friuli, l’altra sponda del Piave, a varie riprese, sono stati
testimoni del passaggio dei Figli di Francesco.
Ai vecchi nomi che ricordano le prime anime apostoliche in Ceneda,
possono esservi aggiunti i nuovi, perché la serie non si
estingue mai.
Ai nomi illustri dei Padri Pacifico Monza, Felice Molini, Edoardo
Fiori, Mario Luchi, Norberto Greggio, Bonifacio Lunardoni,
Gianfrancesco Bovo, dovremmo unire lo stuolo innumerevole dei
più umili, che si sono adoperati in ogni forma
d’apostolato: Esercizi Spirituali e Ritiri al Clero e ai
Religiosi, Missioni al popolo, Quaresime, Mesi di Maggio, ecc. Pronti
dovunque, dovunque apostoli di pace e di bene.
E’ naturale che, divenendo il Convento di S. Francesco agli inizi
del ‘900 sede di studio della Provincia Francescana Veneta, i
Religiosi siano stati più preparati al ministero della parola.
Ce lo dicono alcune
Note salienti
Esse ci sono fornite da alcuni fatti che hanno caratterizzato quest’ultimo periodo di storia.
Ricordiamo anzitutto la solenne celebrazione del VII centenario
della morte di S. Francesco, che per iniziativa dei suoi Figli ebbe
carattere diocesano, con l’organizzazione di ben quattro
numerosissimi pellegrinaggi all’Isola di S. Francesco del Deserto
(Venezia).
Nello stesso anno (1926), dal 26 al 28 luglio, si tenne sotto la
presidenza del M. R. P. Provinciale, P. Tito Castagna, il primo
Congresso dei predicatori della Provincia di S. Francesco, con le
relazioni dei RR. PP. Marcello Trevisan, Norberto Greggio, Mario
Luchi, Urbano Devescovi, Alfonso Fortunato, e dello stesso P.
Provinciale. Vi intervennero i migliori oratori della Provincia,
l’incontro portò in tutti chiarezza di idee e fervore
apostolico. Gli atti vennero poi stampati in un volumetto a parte.
La conclusione più immediata di questo congresso fu
l’istituzione d’una Scuola Apostolica nel nostro Convento
che servisse ai giovani sacerdoti « per istradarli al
ministero delle missioni indigene » (Cronaca conventuale). Essa
fu affidata alla vigile cura di P. Mario Luchi, che in materia poteva
vantare esperienza e talento non comuni.
Il 15-16 febbraio 1927, pure sotto la presidenza dello stesso P.
Provinciale, altro Congresso: quello dei Maestri di spirito per la
formazione dei giovani francescani che si preparavano al
sacerdozio e ai vari compiti dell’apostolato.
Nel 1931, celebrazione del VII centenario della morte di S. Antonio.
Per la circostanza il P. Bonifacio Lunardoni organizzava un
pellegrinaggio di 600 persone ancora a S. Francesco del Deserto.
Il 12 marzo 1933. per volere del Clero cittadino, i Padri Francescani
benedivano la rinnovata Via Crucis sul colle S. Paolo. Eretta per
impulso del P. Francesco da Venezia il 14 febbraio 1732, veniva
benedetta dal P. Marco da Verona col beneplacito dei Vescovo Mons.
Benedetto De Luca. I duecento anni trascorsi imponevano una
rinnovazione. L’occasione si prestava bellissima con la
ricorrenza del XIX centenario della Redenzione.
Per avere una visione completa dovremmo aggiungere l’apporto
dei Religiosi Francescani di Vittorio Veneto all’apostolato
missionario tra gli infedeli. Basterà ricordare come la maggior
parte dei missionari, che hanno lavorato e lavorano oggi nelle Missioni
affidate alla cura della nostra Provincia (Hankow, Tibet, Vecchia
e Nuova Guinea, Filippine, Giappone, Guatemala, El Salvador, Argentina)
sono usciti da Vittorio Veneto, ove sono stati o Superiori o
allievi.
Fra di essi, alcuni nomi illustri: P. Placido Albiero, P. Epifanio
Pegoraro, S. E. Mons. Maurizio Rosà, Arcivescovo di Hankow e
Primate dell’Hupeh, S. E. Mons. Costantino Luna, da poco
consacrato Vescovo di Zacàpa (Guatemala).
Fasti?
No; i Francescani di Vittorio Veneto non sono andati in cerca di fasti;
solo hanno voluto lavorare secondo il loro spirito, come gli
ultimi operai nella vigna del Signore.
P. Eutimio Catazzo, ofm
*(tratto da: "Nel Centenario del Ritorno dei Frati Minori a Vittorio Veneto", Scuola tipografica Istituto San Gaetano Vicenza, Vittorio Veneto, 5 febbraio 1956, pag. 60) |
|